Di seguito l’intervista rilasciata dal Prof. Andrea Beretta Zanoni, docente di Economia aziendale presso l’Università di Verona e Partner di Endevo, pubblicata il 17 Aprile 2020 su Il Giornale di Vicenza.
Beretta Zanoni: «Il lock down pesa sulla tenuta finanziaria.Tenere stretti rapporti con chi compra i prodotti»
«LE AZIENDE AVRANNO PIU’ DEBITI. ARRIVANO ACQUISIZIONI E FUSIONI»
«E in certe filiere i clienti stranieri possono decidere di rimpiazzare le nostre imprese con concorrenti attivi in Paesi che non sono fermi»
Tre “cigni neri” in vent’anni. Ovvero tre choc improvvisi per altrettante crisi globali. Le Torri Gemelle nel 2001, il crac Lehmann Brothers nel 2008, adesso la pandemia da coronavirus. La lezione che arriva da questo scorcio di secolo è che siamo tutti più fragili di quanto l’ultimo Novecento ci aveva fatto credere.
Il pensiero è di Andrea Beretta Zanoni, partner Endevo e professore ordinario di Economia aziendale dell’Università di Verona, che ha appena realizzato un approfondimento sugli scenari e sulle strategie “post lockdown”.
Che panorama troveremo, professore, quando finalmente usciremo di casa e il sistema economico sarà ripartito?
Sappiamo ormai che per il 2020 la contrazione sarà pesantissima per tutti: l’Italia è intorno al 9% di perdita di Pil, l’area euro è al 7,5, gli Stati Uniti al 6. Su ciò che succederà alla ripresa, invece, ci sono grandi incertezze. La prima è legata all’evoluzione che avrà il contagio, la seconda all’efficacia degli interventi di politica economica che si stanno mettendo in atto: interventi di politica monetaria con i quali si torna a politiche fortemente espansive per dare liquidità al sistema, e politiche di bilancio che servono a sostenere domanda e offerta. Queste due incertezze creano un gigantesco punto di domanda. Il fatto è che la situazione di oggi non è paragonabile a quella del 2008: allora l’origine della crisi era finanziaria e la politica monetaria espansiva aveva più probabilità di essere efficace, mentre in questo caso la politica espansiva deve riuscire a coordinarsi con interventi sull’economia reale.
Quali sono le conseguenze di questi scenari dal punto di vista delle imprese?
Il lockdown ha un costo innanzitutto in termini di tenuta finanziaria. Le misure prese tenderanno a far aumentare mediamente il livello di indebitamento delle imprese, quindi ci vorrà maggiore focalizzazione sulla pianificazione finanziaria, che diventerà una criticità importante nei prossimi mesi e nei prossimi anni. Ricordiamo inoltre
che veniamo da anni in cui le filiere del valore si sono integrate e globalizzate, e non sappiamo ora cosa succederà. Ogni impresa deve alzare le antenne e capire per tempo i cambiamenti.
Dunque dopo il corona virus ci si ritroverà con un mercato cambiato a livello globale, per tutti?
Molte delle convinzioni che venivano date per acquisite, in tanti ambiti, dovranno essere ridiscusse. Non sono tra quelli che ritengono che necessariamente
il mondo non sarà più come prima, però non c’è dubbio che cambierà un po’ il modo in cui si organizzeranno le catene del valore complessive. Anche perché
cambierà l’organizzazione industriale. Le imprese devono mettersi a ripensare strategicamente, con molta flessibilità. I piani dovranno essere frutto di scenari alternativi e l’analisi strategica dovrà aiutare a comprendere quale scenario diventa più probabile.
Ma le nostre piccole imprese avranno la capacità di fare questo passaggio?
Le imprese più strutturate avranno più facilità nel cominciare a ragionare in questo modo. Le piccole possono avere il vantaggio dell’elasticità e della flessibilità, ma credo che in questa fase non risulterà particolarmente significativo. E aspettiamoci in molti settori fasi di consolidamento, con operazioni di acquisizione e fusione, in
quanto molte realtà non riusciranno a rimanere sul mercato perché finanziariamente fragili o per motivi di posizionamento competitivo.
Non c’è il rischio che “voli qualche avvoltoio” pronto a sfruttare le situazioni più difficili?
Si e no. Le operazioni di acquisizione e consolidamento fanno parte delle dinamiche di evoluzione con le quali un sistema diventa più resistente alle turbolenze. Altra cosa sono atteggiamenti di natura speculativa e opportunistica: quelli sì possono essere dannosi. Bisogna saper capire quando in ballo ci sono operazioni
industriali che hanno senso e quando c’è soltanto il tentativo di cogliere l’opportunità del momento.
Il presidente di Confindustria Brescia Pasini ha detto che per un’impresa che esporta restare assente dai mercati esteri per due mesi equivale a un suicidio. Per le aziende vicentine, in gran parte proiettate all’export, c’è il rischio di non farcela?
Non c’è dubbio. Soprattutto per le imprese che sono, o erano, integrate in certe filiere internazionali, dove i clienti possono decidere di sostituire le nostre imprese con concorrenti attivi in paesi che non si sono fermati. Le imprese del nostro territorio che lavorano molto con la Germania e che ora sono ferme stanno indubbiamente correndo questo rischio, perché nel frattempo le aziende tedesche continuano a lavorare. In questo caso molto dipende da quanto il rapporto
di fornitura è specialistico e difficile da sostituire per il cliente. Ed è importante che le imprese, seppure in lockdown, continuino a tenere i rapporti assidui con i clienti, per capire come intervenire appena tornati operativi.
Che lezione ci lascia il coronavirus, sotto il profilo economico?
Questo secolo è iniziato nel 2001 con l’attacco alle Torri Gemelle, e ci siamo detti che il mondo non sarebbe stato più come prima. Poi nel 2008 è iniziata la grande crisi e ci siamo detti che la nostra generazione non aveva mai avuto un’esperienza del genere. Ora è arrivata questa emergenza, ancora più difficile da gestire. Tutto in 20 anni. Viviamo in un mondo che è diventato molto complicato, dove gli choc, i cosiddetti “cigni neri”, sono molto più frequenti di quel che ci piaceva pensare. Stiamo sperimentando che ci sono delle cose che non riusciamo a gestire. La prima lezione, allora, è che siamo un po’ più deboli e più fragili di quanto tanti anni
di crescita e di sicurezza, prima del 2000, ci avevano fatto immaginare. Dobbiamo essere molto veloci, continuare a reinventarci. E non essere troppo arroganti e troppo sicuri del futuro.
Stefano Tomasoni

